Selci – Chiese e chiesette rurali

Chiesa del Santissimo Salvatore

La Chiesa Parrocchiale dedicata al Santissimo Salvatore è situata nel centro storico.
Durante la ricorrenza della festa del santo il 9 novembre, veniva distribuita ad ogni famiglia una pagnotta di pane benedetto, così come si usava nella ricorrenza di Santa Lucia, sembra in ottemperanza ad una prescrizione testamentaria di cui non si ha notizia.
Durante la ricorrenza della festa del santo il 9 novembre, veniva distribuita ad ogni famiglia una pagnotta di pane benedetto, così come si usava nella ricorrenza di Santa Lucia, sembra in ottemperanza ad una prescrizione testamentaria di cui non si ha notizia.
Poche e frammentarie sono le notizie sulla sua fondazione, si presume coeva alla costruzione del centro abitato del IX secolo.
La Chiesa, di stile medievale, ricorda l’antica Cattedrale di Forum Novum, infatti da quel primo luogo del culto cristiano ci fu la migrazione verso l’antica Selci.

Nel registro delle Chiese della diocesi di Sabina, redatto nel 1343 per ordine del cardinale di Toledo vescovo di sabina ai tempi di Papa Clemente VI (1342-1352), riguardo al Castrum silicis si trova la citazione “CAPPELLAM SANCTI SALVATORIS, PARROCCHIALEM EST IN DICTO CASTRO”. In base a questa ed altre fonti successive, risulta che dal 1343 la sede parrocchiale sia stata costantemente nella chiesa del paese di SS. Salvatore, mentre S. Stefano fu invece parrocchia anteriormente al sec. XIV.
Sebbene la tesi non sia attendibile, secondo un’antica tradizione la chiesa fu edificata sopra le rovine di un tempio degli idoli, lo testimonierebbero due “vestigia”: due lastre di travertino (pietra calcarea) in bassorilievo, sono poste come pietre portanti alla base dell’edificio, murate nei fianchi della piccola sporgenza che la parete della chiesa presenta sulla Via dei giudici (oggi Via Vittorio Emanuele II), per dare il cavo necessario all’altare della concezione.
A un primo sguardo le due lastre non destano molta emozione, ma guardandole meglio, soprattutto se si ha la fortuna di trovarsi in un’ora e in una stagione in cui i raggi solari sono radenti mettendo in risalto ogni dettaglio, si vedranno emergere quelli che sembrano due minacciosi guerrieri rozzamente scolpiti.

A un’analisi più attenta e critica le due figure risulteranno però essere le immagini di S.Michele Arcangelo, con tanto di ali, spade e serpe-demonio schiacciato sotto ai piedi. Si tratta di sculture molto antiche, forse di origine longobarda, che meriterebbero le attenzioni di studiosi medievalisti.
Il problema era che queste figure risultavano agli abitanti ignote, misteriose e inquietanti, pertanto sono state esorcizzate, riducendole a dimensioni familiari e a sculture casalinghe affidandogli i nomignoli popolari di “Carnevale” e “Quaresima”. La tradizione, secondo la saggezza popolare, chiama il primo che si incontra Carnevale e il secondo Quaresima.
All’esterno, a destra dell’ingresso, è stata posta per terra a ridosso della parete della facciata una pietra su cui si leggeva un’iscrizione, ora confusamente visibile, la cui dicitura più attendibile è la seguente: “ORFIDIUS P.L. PRIMUS ORFIDIA P.L. PRIMA LETUS DELICIUM VIXIT ANNOS VIII GRATUS CONFIDIAE PRIMAE LIBERTAE”. Di questa pietra il Galletti scriveva verso il 1740 che “era nascosta dentro il campanile”. Lo Sperandio nella sua “Sabina sacra e profana” riporta che la pietra si trovava sul ripieno della scalinata della Chiesa. In seguito, per sottrarla forse alla corrosione, nel momento del rifacimento della facciata fu adagiata nella sua posizione attuale. Tanto il Galletti quanto lo Sperandio ne danno il testo, però in modo alquanto diverso.

L’edificio della Chiesa ha il suo lato di ponente lungo la via un tempo detta “dei giudici”, la quale sale dall’arco alla piazzetta centrale, Piazza del 1° Millennio, già Tartaglia. La parete di levante posa sul muro castellano.
La porta della Chiesa è ora nella facciata a sud, mentre anticamente si apriva sulla via dei giudici, probabilmente dietro il soppresso altare di S. Nicola di Bari, come sembrerebbe potersi documentare da antiche tracce, sebbene incerte, nella muraglia della chiesa.
L’area sud era invece adibita a orto dell’Arciprete, circoscritto dalla prosecuzione del muro castellano, che poi gira ad angolo retto fino ad innestarsi ai fianchi dell’arco della porta del paese.
Dietro la Chiesa si trovano la sagrestia e la casa parrocchiale.
Il campanile, a ventola, si innalza su un arco che unisce la casa parrocchiale alla casa Tartaglia, scavalcando la Via dei giudici. Osservando il muro ai piedi del campanile si noterà emergere dal muro un marmoreo volto femminile. La delicatezza dei lineamenti di questa scultura, certo una dea, insieme con il candore del marmo in cui è stata scolpita, contrastano in modo stridente con il rozzo muro scrostato in cui è inserita.

La Chiesa non presenta strutture originali, poiché oggetto di vari restauri: venne allungata a scapito dell’orto dell’Arciprete, il cui residuo venne adibito a piazzetta pubblica; le pareti furono rialzate, pur mantenendo sempre il soffitto della chiesa a capriate a vista; la porta al lato di ponente, sulla via, venne trasferita a sud, sulla piazzetta, aperta nella nuova facciata.
La facciata della chiesa presenta un profilo piano con, al centro, un piccolo timpano arcuato. Il prospetto è intonacato e pitturato ed è scandito da quattro lesene a sostegno di una cornice in rilievo, tra le quali sono presenti tre finestre rettangolari con cornice decorata.
Si accede all’interno attraverso l’unico ingresso della facciata, inserito in un portale in pietra architravato.
L’interno, a pianta rettangolare, è composto da un’unica navata.
L’ingresso presenta un piccolo atrio, al di sopra del quale si trova un ballatoio, che conteneva un organo a canne.
Il sistema di copertura interno è composto da un controsoffitto scandito da una serie di travi in legno pitturato. La copertura esterna è costituita, invece, da un tetto a due falde.
Le pareti sono intonacate, pitturate e scandite da una serie di paraste, mentre il pavimento è in marmiglia gialla con guida centrale rossa.
Il presbiterio è inserito in un’abside semicircolare ed è aggettante e leggermente rialzato rispetto alla pavimentazione della chiesa, delimitato da una balaustra in legno. Al suo centro si trova la mensa dell’altare, un tempo addossata alla parete dell’abside e ora disposta centralmente secondo le indicazioni liturgiche post conciliari (1970-1980). A destra e a sinistra della parete presbiteriale sono presenti tre vani che immettono nei locali della Chiesa. Al di sopra delle due porte vi sono stemmi di cardinali.
Sono tuttora esistenti e conservati tre degli antichi altari.
In passato gli altari erano cinque: il maggiore in fondo con la sua conca, due a destra e due a sinistra disposti simmetricamente, dirimpetto. Essi erano così denominati: altare majus, altare di S. Mariea Virginis Concaptionis, altare del SS.mo Rosari, altare conversionis S. Pauli, altare di S. Bernardino.
L’altare principale in marmo (altare majus) è situato nel presbiterio. Contiene una pala del XVII, con una cornice in gesso dipinto a finto marmo, raffigurante il SS. Salvatore fra nuvole e angeli, che poggia il braccio sinistro sul globo terrestre. Quattro santi sono in adorazione: da sinistra S. Eleuterino papa e S. Rocco con il cane (entrambi santi coprotettori di Selci), Santo Stefano diacono (il santo protomartire principale protettore del paese) e San Bernardino da Siena con il libro e monogramma JHS.
In alto rispetto alla pala, si trova l’iscrizione “altare privilegiatum”. Gli altari con questa dicitura nelle vicinanze erano quelli dove poteva essere applicata un’indulgenza plenaria a favore di un’anima in purgatorio, dal sacerdote che celebrava la messa. Era un’indulgenza aggiuntiva, al di là delle grazie e dei benefici normalmente derivanti dalla celebrazione della Messa.
Tali altari erano un tempo concessi per concessione speciale, ma in seguito si diffusero.
Sul soffitto dell’abside è dipinta la colomba dello spirito santo al centro di un sole.
L’altare di sinistra, in marmo, è giuspatronato della famiglia Tartaglia. Contiene la pala del XVII-XVIII secolo raffigurante la Madonna Immacolata sulle nuvole, con mani giunte e gli occhi al cielo, circondata da angioletti. In basso si trovano quattro santi: San Giuseppe in piedi con il bastone fiorito; S. Francesco di Paola con barba, in ginocchio e bastone in terra; San Filippo Neri in adorazione; S. Antonio da Padova con gigli.
Sulla stessa parete in cui è collocato l’altare di sinistra si trova un quadro del XVII raffigurante “la conversione di S. Paolo”: il Santo e il suo cavallo sono stesi a terra, ai loro lati si fronteggiano due schiere di armati; sullo sfondo è rappresentata una città e nella parte alta del dipinto è raffigurato il Cristo, con stendardo tra nuvole.
L’altare di destra, jus patronato della famiglia Savini-Nicci, fu eretto nel 1672. Sopra di esso una cornice in stucco, dipinta per simulare il marmo, inquadra una serie di cornici più piccole, riccamente lavorate, entro la quale sono affrescati i misteri del S. Rosario.
Al centro, entro un’altra cornice, era situato il quadro principale: la Vergine del Rosario, seduta, sorregge il S. bambino che tiene nella mano destra un Rosario e nella mano sinistra un cuore. Il presente dipinto è stato rubato e una sua copia realizzata successivamente è stata collocata nella vicina edicola processionale; in sua vece è stato posto un altro quadro della Madonna.
Di grande interesse è il fonte battesimale in legno dipinto, situato a sinistra della porta. L’opera è di artigianato locale del XVIII secolo.
Ai lati dell’ingresso vi sono due acquasantiere.
Lungo le pareti della chiesa si trovano diversi quadretti sulla Via Crucis.

Chiesa di Santa Lucia

Angelini, cittadino selciano, diede avvio alla costruzione della chiesa, che fu finita dopo la sua morte (1705) dal nipote ed erede Pietro Angelini verso i primissimi anni del 700.
La chiesa fu dedicata alla B. Vergine Maria, ma avendo un altare dedicato a S. Lucia, in seguito fu più comunemente chiamata con questo nome.
La chiesa aveva tre altari: quello principale con il quadro della B. Vergine, quello di S. Lucia, e un terzo di S. Antonio Abate.
Terreno e chiesa passarono poi per eredità ai Benedetti De Rossi.
Il 13 dicembre, giorno della festa in onore di S. Lucia, veniva distribuita a cura della famiglia De Rossi ad ogni famiglia una pagnotta di pane benedetto, così come si usava nella ricorrenza del SS. Salvatore (9 novembre), in ottemperanza, sembra, ad una prescrizione testamentaria di cui non si ha notizia.

La chiesa stette in piedi per poco più di un secolo. Nella seconda metà dell’800 cadde il tetto, e rimasero solo le pareti sconnesse.
Sulla facciata si innestò, nel 1896, il frontone della fontana.
Al tramonto della famiglia Benedetti, il terreno fu messo all’asta e aggiudicato da Urbani Francesco. L’area della Chiesa non era compresa perché distinta da numero di mappa speciale. Questa passò in proprietà di Ciocioni Alberto, il quale vi costruì la casa, che è la prima a sinistra della via Romana.
Della chiesa rimane solo la facciata, su cui è stata realizzata nel 2022, una delle opere del progetto di rigenerazione urbana Selci Visionaria.

Chiesa di S. Eleuterio

Chiesa sussidiaria, di proprietà della famiglia Savini Nicci, è attualmente inagibile, in attesa di restauri.
Questa chiesetta rurale medievale, risalente all’XI secolo, sorge su un piccolo colle a poca distanza dal centro di Selci (1200 m), dando il nome alla località. Il colle è denominato “unico”, vocabolo di cui non si conosce la ragione, ma che rende la suggestione del luogo.
Non si hanno notizie circa l’epoca della fondazione, ma si ritiene antichissima.
A giudicare dalla struttura muraria, costituita da grossi blocchi di travertino, è da ritenere che la sua origine possa risalire all’XI secolo, dopo la distruzione e l’abbandono di Forum Novum, cioè presso a poco alla stessa epoca in cui venne costruito l’agglomerato del paese, che fu uno dei centri derivati dall’abbandono del centro foronovano.
Certo è che della chiesa è fatta esplicita menzione nel “Registrum episcopatus Sabinensis“, il registro della giurisdizione dell’episcopato Sabinese del 1343. Qui è espressamente ricordata tra le cappelle esistenti in Selci come “cappellam Sancti Eleuthery, ruralem”, tra le cappelle dipendenti dalla chiesa parrocchiale di Santo Stefano.
Fu dedicata a S. Eleuterio, papa che fu sul trono di Pietro dal 179 al 189 d.C. ma sono ignote le origini della devozione che i selciani gli hanno dimostrato con l’edificazione della chiesa.
È certo che nel II secolo esistette un S. Eleuterio la cui memoria ha importanti e ben fondati elementi di attinenza con la regione sabina. Nei pressi di Rieti esisteva un grande monastero dedicato al santo, citato come il più antico della valle reatina. Esiste anche oggi una chiesa con la denominazione di S. Eleuterio.
S. Eleuterio fu primo protettore di Selci ed è ora coprotettore dopo S. Stefano.
La festa di commemorazione del santo ricorre il 26 maggio, giorno in cui si svolgeva una Processione, si celebrava l’ufficio e ci si riuniva a mangiare.

Un tempo nell’edificio venivano conservati grano, frutti e altri generi.
Nella chiesa fu fondata la compagnia di S. Eleuterio, che possedeva mulino e olio.
L’edificio è di piccole proporzioni, composto da un’unica aula di forma rettangolare con i lati che all’interno misurano 9.48×6.22 m.
La chiesa presenta un profilo a capanna con un piccolo campanile a vela sullo spiovente destro del tetto, a due falde e sorretto da due archi trasversali.
Le mura, scarne, sono composte da pietrame di cava e rivelano l’inclusione qua e là di grosse pietre e blocchi di peperino, una delle caratteristiche delle vecchie fabbriche del paese, provenienti dalla selciatura del tratto della via romana che attraversa la gola di Selci e andava a Foronovo.
La facciata a sud è nuda, liscia, con sovrapposto un solo fornice per la campanella. Presenta due rustici speroni alle fiancate e al centro; tra due finestre ferrate, si trova la porta con gli stipiti ricavati da antiche pietre lavorate.

La finestrella di destra ha nel suo ripiano un cavo di muratura destinato a contenere l’acqua santa. L’acquasantiera venne poi costituita in modo originale con un capitello in marmo di ordine corinzio, molto corroso, proveniente sicuramente da S. Stefano. A questo è sovrapposto un grosso bacino di travertino, che si dice proveniente dalle rovine di altri edifici, quasi certamente dalla chiesetta una volta esistente nella località di S. Lorenzo.
La parete a ponente ha una porticella secondaria con spalle in pietra e architettura di pietra angolare.
La parete di fondo a nord presentava dietro l’altare una conca che fu demolita o che forse crollò, per cui l’arco fu richiuso riprendendo verticalmente la parete stessa, con evidenti tracce che riportano alla precedente struttura. Le fondamenta circolari della conca, robustissime, sono rimaste interrate e poi demolite nel 1936.
L’unico ingresso in legno è sormontato da un piccolo protiro in laterizio, dove è presente un gruppo statuario in terracotta raffigurante la Madonna col bambino tra due angeli.
All’interno la chiesa presentava un tetto rosso e tre capriate, a due pendenze, con altezza nella cuspide di 4,67 m, e nell’innesto delle falde 3,45 m dal pavimento.
In fondo era situato il semplicissimo altare, rappresentante il santo pontefice S. Eleuterio con i suoi miracoli. Il dipinto venne eseguito nel 1909 dal pittore Monascelli di Roma, che si recò a Selci nel maggio di quell’anno, per farsi un’idea del luogo da dipingere nel paesaggio che circonda la figura.
All’interno della chiesa si conservano interessanti materiali archeologici, e sulle pareti tracce di affreschi del XII-XII secolo di una minore scuola romana, di cui non conosciamo il nome del pittore. Le pitture della chiesa sono coeve a quelle che adornano la chiesa di S. Maria a Vescovio, ora rimosse a cura della Direzione delle belle arti.
Le pareti laterali dovevano essere tutte dipinte a quadri vicinissimi tra di loro. Nella parete a ponente alcuni quadri sotto sono tutt’ora discretamente conservati. Erano rappresentanti vari santi e replicatamente un santo nudo saettato.
IL primo quadro di un gruppo di tre (1.72 m), rappresenta la Madonna seduta su uno scanno con sottoposto predello, che porta seduto sul ginocchio sinistro il divino infante, di proporzioni piuttosto grandi. Lo sorregge alle spalle con la mano sinistra, mentre con la destra lo sorregge ai piedi. La Madonna è vestita da ricco paludamento, tinto inferiormente di rosso-marrone, e sopra di verde con un gallone d’oro che la copre la testa con il cercine; il bambino ha una veste verde ed è coperto da un mantello giallo oro che gli scende dalle spalle, ha la mano sinistra racchiusa.
Se gli affreschi sono della stessa epoca, non appaiono però tutti della stessa mano. La volontà del pennello si rivela in modo cospicuo nella Madonna del primo quadro o nel S. Antonio dell’ultimo gruppo, mediocre nel primo S. Sebastiano e nelle figure del secondo gruppo, scadente nel redentore del primo gruppo e nei due S. Sebastiani dell’ultimo.

Chiesa di S. Stefano

La chiesa rurale sussidiaria di S. Stefano sorge su una piccola altura lungo la strada principale, in posizione periferica rispetto al centro abitato, a circa 3 km da questo e a 1 km da Sant’Eleuterio.
È certo che tra le chiese di Selci, quella di S. Stefano è la più antica.
Si tratta di un piccolo edificio risalente all’XI secolo e poi ricostruito nel 1945.
Con l’emanazione dei Bandi Generali, i Cesi (XVI-XVII) integrarono le disposizioni dei feudatari predecessori e fondarono una Cappellania nella chiesa, dove gli abitanti del contado potevano adempiere gli obblighi della religione cristiana senza doversi recare in paese.

Una vecchia tradizione popolare racconta che in una certa epoca infieriva una grave epidemia nella zona. Un uomo di Aspra Sabina (attuale Casperia), luogo tra i più infetti, si dirigeva verso Selci. Il pellegrino, colpito da peste e probabilmente in cerca di cure, giunse fino al luogo dell’attuale chiesa, dove gli sarebbe apparso il protomartire (il primo cristiano ad aver dato la vita per testimoniare la propria fede in Cristo e per la diffusione del Vangelo). Per evitare il contagio alla popolazione, S. Stefano avrebbe indotto l’ignaro viandante a tornare indietro. Secondo un’altra versione, lo avrebbe fatto dirottare, con una falsa indicazione del percorso, verso i monti sabini. Di questa versione colpisce un particolare: l’avversità di S. Stefano per il forestiero immondo. Ciò è stato spiegato con il fatto che tra coloro che condannarono e lapidarono il diacono Stefano, molti erano forestieri.
Selci rimase miracolosamente immune dal contagio.

Ab immemorabili la popolazione selciana, per grazia ricevuta, scelse S. Stefano quale Celeste Protettore del paese e in suo onore edificò la chiesa nel punto in cui apparve il santo.
Fu scelto il 3 agosto, in quanto giorno propizio per la buona stagione e perché già conseguito il raccolto, come giorno della festa della “invenzione” (cioè “rinvenimento”, dal latino invenio) delle reliquie del santo. Il giorno della festa, la mattina alle 7 iniziava la processione, mentre la sera si svolgeva la corsa dei cavalli.
Viene asserito che la chiesa per un certo periodo sia stata sede principale della chiesa parrocchiale del paese, come da varie testimonianze tra cui quella del Galletti (1740), che per primo scrive a proposito di S. Stefano: “questa chiesa era l’antica parrocchia di Selci, ora trasferita, per comodo, dentro della terra stessa”.

Ciò dovette verificarsi anteriormente al XIV secolo.
La chiesa presenta un profilo a capanna; le mura sono intonacate e pitturate di bianco e alcune parti sono decorate da una finta cortina in laterizio; la tessitura muraria è composta da pietra calcarea con inserti in laterizio; dei contrafforti rinforzano alcune parti dell’edificio.
A destra, su un setto in muratura emergente rispetto all’edificio, è presente un campanile a vela a tre fornici, diviso in due ordini. Un secondo campanile a vela è presente lungo la parete laterale destra.
La chiesa è coperta da un tetto a due falde nella prima e terza campata, mentre nella seconda la copertura emerge in altezza; la navata centrale è coperta da un tetto a padiglione, mentre le navate laterali internamente sono coperte da una volta a vela e un tetto a falda inclinata.

Nello spazio esterno che circonda la chiesa vi sono pezzi di marmo misti, tra cui diversi pezzi di marmi bianchi utilizzati per il pavimento, capitelli di colonne, un architrave di bassorilievo in marmo bianco di scultura romana, ed alcuni frammenti di scultura con simboli cristiani quali croci o grappoli d’uva; tutti questi indizi indicano che la chiesa era ornatissima.
Si accede all’aula liturgica da una porta centrale.
L’interno, diviso in tre navate e tre campate da due coppie di pilastri a croce, presenta un presbiterio rialzato e una piccola nicchia centrale semicircolare ed emergente.
La chiesa contiene quattro colonne di granito orientale, di cui due in piedi e due per terra. Vi è poi un pezzo di colonna di marmo portasanta.
Ora vi è un solo altare recante l’iscrizione “arbitratu”.

Chiesa di S. Vincenzo Ferreri

L’unica chiesa destinata esclusivamente ad uso privato resta la cappella di jus patronato della famiglia Savini. Costruita nel 1973 da Paolo Tartaglia Lugini, è dedicata al frate domenicano spagnolo San Vincenzo Ferreri.
La cappella gentilizia annessa alla villa comunica con la casa tramite la porta laterale da cui accedevano i signori.
Possiede una sola campana, eccellente per l’eleganza al tempo. All’esterno si caratterizza per una facciata piuttosto semplice con un unico ingresso centrale, affiancato da due basse finestrelle ovali, sormontato da un piccolo timpano curvilineo modanato e la dedica della chiesa. A coronamento della struttura un pilastrino in mattoni decorato da una croce in ferro e un piccolo campanile a vela sul lato destro. 

Chiesa di S. Domenico e S. Bonaventura

La Chiesa, oggi non più esistente, apparteneva alla famiglia Quintiliani.
Domenico Gabrielli di Tarano aveva eretto una cappella nella chiesa locale di S. Giovanni, sotto l’invocazione dei santi Domenico e Bonaventura. L’altare aveva subito dei guasti che indussero il vescovo di Sabina ad ordinare che vi fossero sospese le celebrazioni.
La chiesa andò per eredità al sig. Antonio Quintiliani di Selci, che non aveva la convenienza di restaurare la cappella a Tarano, pertanto previo consenso dei parroci di Tarano e Selci chiese alla congregazione del concilio di essere autorizzato a trasportare la cappella a Selci in un suo podere in località Aurano.
Fu delegato l’arciprete di Selci ad assistere alla scelta del luogo e alla traccia delle fondamenta, con l’obbligo che la cappella corrispondesse alla via pubblica.
Stefano Quintiliani, medico e persona assai influente, designò per la costruzione della chiesa l’area annessa a un suo casale in fondo alla collina Aurano, di prospetto del paese.
La prima pietra fu posta il 2 settembre 1756.
La chiesa aveva un solo altare, provvisto di suppellettili con le immagini dei due santi titolari. Sopra vi era la scritta “DEO REDEMPTORI”.
Il cappellano nominato dalla famiglia Quintiliani aveva un assegno di 16 scudi annui, con l’obbligo di celebrare due messe a settimana.
La cappellina veniva talora adibita a celebrazioni matrimoniali.
Quando la famiglia Quintiliani si trasferì da Selci a Faleria presso Civita Castellana verso la metà dell’800, la chiesa abbandonata cadde in rovina; a quanto si racconta le mura vennero demolite e i sassi furono venduti a Savini Carlo, che li adoperò per costruire il casale colonico sul colle dei Dragonetti.

Altre chiesette rurali

Poco più sotto di S. Stefano vi erano le tre chiese ora distrutte di S. Lorenzo, S. Martino e di S. Giovanni. Queste erano situate in quella zona che adesso è chiamata “Pezza Longa” (zona a sinistra di via Rusciano che fronteggia l’ultima parte di via Pantano, detta dagli anziani “Piazza Longa”).
Tra le chiese elencate durante la S. Visita del 1343 figura anche una cappella rurale dedicata all’Apostolo Andrea, situata al bivio di Gavignano e di cui si è persa memoria.
Infine, la chiesetta rurale di Santa Giusta era situata nella località omonima.

Ideazione e progettazione: La Clessidra APS
Coordinamento: La Clessidra APS
Promozione: La Clessidra APS
Testi: Francesca Petrillo – Annalisa Annibaldi
Foto: Maddalena Antonini
Pagina web: Samuele Celommi – Stefano Celommi
(Tutti i diritti riservati.)